Cosa? Come prego? Io? Cucinare? (E scrivere un nuovo articolo dopo la bellezza di sedici mesi?!)
Ebbene si cari amici e telespettatori, da oggi, sulle vostre tavole, potrei portare una delle mie prelibatezze. Non che sia tutto buono, ma ci metto sempre cuore, mente e un pizzico di sale che dà sempre sapore.
Ma partiamo dal principio: cos’è successo in questi mesi? La risposta è easy peasy lemon squeezy. Ho iniziato l’università. Esatto. Basta così poco per distruggere il mio animo già ampiamente temprato dalle mie mille e una notte da liceale (2116 per essere precisi, e: sì, sono un po’ più del dovuto). Lo so, lo so… ci siete passati tutti e siete sopravvissuti, non è così impossibile, basta impegnarsi, ce la farò anch’io e tutte queste belle premesse, ma a quanto pare io e lo studio non andiamo ancora molto a braccetto. Ci salutiamo, ogni tanto, magari per il corso di Inglese o durante i vari Laboratori di “Introduzione alle tecniche base di ricerca sperimentale” che sono super interessanti e vorrei fare solo quelli, ma in altri corsi (ehemCHIMICA) proprio non andiamo d’accordo. Mi sembra un po’ che la storia si stia ripetendo, ma almeno stavolta è tutto mirato verso ciò che mi piace, quindi ci arriverò, a mio tempo, ma state tranquilli che ci arrivo.
Detto questo, passiamo all’argomento scottante di questo articolo: i fornelli!
Chi l’avrebbe mai detto che io, l’Amante Suprema del Cibo e Capo dei Golosi sezione Lombardia Nord Ovest, potessi mai cimentarmi (prima o poi!) nella magica arte della cucina? Nessuno, in realtà, perché sono anche Vice Presidente dell’Associazione dei Pigri Sonnolenti sezione Nord Italia (vice perché essere presidente era troppo faticoso) e quindi qualsiasi attività in cucina che non fosse affettarmi tre etti di bresaola per “una merendina veloce” era totalmente fuori questione.
Cos’è cambiato? Saranno i 21 anni che inconsciamente si fanno sentire o semplicemente la curiosità di creare qualcosa che non sia un fumetto in mezzo agli appunti di biologia e che sia edibile e forse addirittura buono da mangiare (wow!?), fatto sta che negli ultimi mesi ho tentato l’approccio ai fornelli, e mi è piaciuto. E non solo! Ciò che ho cucinato è piaciuto! Che genere di stregoneria è questa?
Quindi, come ogni bravo pischellino che ha appena imparato come fare un uovo strapazzato e sa fare solo quello ma lo dice a suo cugino, sua nonna, sua zia, il vicino di casa, la sua maestra delle elementari e il tizio dietro in cassa all’Esselunga, è giunto il mio momento per presentare al pubblico le mie grandi doti* culinarie.
Siccome sono una principiante, ma mi piace vivere secondo il motto di Ice Bear dal cartone animato We Bare Bears che un giorno ha detto “Go big or go home”, le mie sessioni di cucina più o meno iniziano alle 3 del pomeriggio e finiscono non appena qualche buon animo mi guarda all’alto e decide di darmi una mano a cercare di cenare prima delle 10 di sera. Questo appunto perché nell’ottica di Ice Bear, il mio umile obiettivo tendenzialmente non è preparare un’unica pietanza, ma un intero pasto. E dev’essere un pasto ben equilibrato. E siccome ho una leggera fissazione per la cultura culinaria giapponese, il 99,9% delle volte è un piatto tradizionale giapponese. Niente di pretenzioso nè complicato insomma.
È così che il 26 settembre scorso ho dato anima e corpo in un intenso pomeriggio per cucinare una cena che seguisse le regole dell’Ichiju Sansai (一汁三菜), letteralmente “una zuppa tre piatti”, che dalle mie ricerche sembra essere il fondamento di un pasto giapponese.
Ora, da vera principiante con la passione per le sfide non avrei dovuto avere esperienza con nessuno dei piatti che avevo intenzione di preparare, ma oltre al gioco facile mi piace anche la zuppa di miso che sapevo già come preparare da zero per cui per quanto riguarda la zuppa è stato un gioco da ragazzi.
Dato che il riso era un piatto troppo semplice da preparare, ho chiesto consiglio a Nami, la proprietaria di un blog sulla cucina giapponese che ormai per me è un punto di riferimento, e mi ha approvato un’insalata di soba in sostituzione del riso. Sostanzialmente spaghetti di grano saraceno freddi con cipollotto, sesamo e una cremina di salsa di soia.
Per quanto riguarda il piatto principale, ho deciso di preparare il Tonkatsu (とんかつ), una semplice cotoletta di maiale agli occhi dei comuni mortali, ma è molto di più. Dopo aver pestato la carne per ottenere una consistenza tenera, il segreto per ottenere un tonkatsu coi fiocchi è nella frittura. La carne impanata va fritta a immersione per due minuti, poi lasciata riposare, e infine fritta una seconda volta per una trentina di secondi per lato. È questo che conferisce alla panatura una croccantezza fuori dal comune.
Per quanto riguarda i due contorni ho fatto solamente dei Gyoza (餃子), che non sono nè aemono (cose condite con salse) nè nimono (cose stufate), avevo solo la curiosità di vedere come sarebbero venuti dei gyoza in casa. Ho fatto solo il ripieno, la pasta l’ho comprata già fatta a dischetti, ma accidenti se si sente la differenza dai ravioli che vendono già pronti. Siccome fare tutto giusto al primo colpo non è divertente, appena ho finito di chiudere tutti i ravioli mi sono ricordata di non aver condito il ripieno, quindi era solo carne e verdure. Ma nel mio errare, questo ha permesso di sentire l’equilibrio e la qualità degli ingredienti nel ripieno, e per quanto riguarda il pizzico di sapore in più si può sempre intingere il gyoza nella salsa di soia.
Infine, siccome volevo dare un pizzico di autenticità al tutto, mentre facevo la spesa in Chinatown ho trovato in sconto dell’Umeboshi, tipiche prugne essiccate giapponesi dal pungente gusto acido e salato dato principalmente dalla macerazione delle prugne nel sale. La descrizione direi che dice tutto, erano un po’ troppo per il mio palato ancora troppo giovane. E anche per quello di altri tre commensali almeno.
Ecco quindi il pasto completo! Ore di lavoro e sperimentazione, trasformate nel mio amore più grande: il cibo!
È stato un grande orgoglio riuscire a preparare una cena completa per ben sei persone e sapere che è piaciuto tutto. Per cui ora forse un po’ per orgoglio, forse un po’ per golosità, mi sento più motivata che mai a cucinare nuovi piatti e sperimentare con ingredienti nuovi o già familiari. Nella speranza di potere rendere anche voi partecipi delle mie avventure culinarie in futuro, non posso che augurare a tutti Itadakimasu!
*fatto verificato, decisamente non ingigantito e per niente autocelebrativo