Diario di bordo – 15 gennaio 2022

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Avete presente nei film Disney quando la principessa di turno si sveglia ed è il grande giorno! per cui si prepara tra piroette, uccellini che cantano e servitù che si prende cura di ogni dettaglio perché il grande giorno sia perfetto?

Beh, oggi è un grande giorno. Non il grande giorno, chiaro, ma comunque un grande giorno. E in quanto non il grande giorno è partito con io che mi sveglio giusta al pelo per vestirmi e arrivare, con la fionda e rigorosamente senza colazione, in stazione per prendere l’ultimo treno utile per raggiungere Milano in orario. Piccola nota per gli sbadati come me: il biglietto STIBM comprato dal sito Trenord va attivato una volta comprato. Eh no. Si lo so. Non si attiva da solo. Davvero una sorpresa… sia per me, che per quel biglietto che ho “usato” quattro mesi fa che era lì bello bello nella mia area personale a guardarmi “beh allora, che facciamo oggi mi attivi o no?”. Eeeh beh, capita dai, su.

Comunque, torniamo a noi. Treno. Milano.

Avviso velocemente la mia compagna di avventure che sono in arrivo e proseguo verso la grande mela lombarda. Cuffiette Pantone prese coi punti dell’Esselunga nelle orecchie, faccia da “ti conviene non avvicinarti senza un buon motivo” e sono pronta ad andare. Metro verde da Garibaldi, non devo neanche preoccuparmi di cambiare linea perché devo scendere a Porta Genova, destinazione: Tenoha.

Ora, a questo punto i miei lettori accaniti (nonno Pino fan numero uno grazie che mi leggi ti vi bi) avranno già sentito parlare di Tenoha in passato. Per farla molto molto molto ma molto breve è il mio posticino del cuore per le attività a tema Giappone. Ogni tre per due ne organizzano una e io ci casco sempre perché le trovo una più interessante dell’altra, il giusto mix tra la mia voglia di scoprire le tradizioni giapponesi e partecipare a quelle attività altamente instagrammabili che hanno comunque un alto tasso di divertimento.

Questa volta Tenoha ha deciso di farla grossa, ma letteralmente. Hanno ricreato un’intera strada di Tokyo stampando a grandezza reale le facciate dei negozi dipinte ad acquerello dall’artista Mateusz Urbanowicz e raccolte nel suo libro “Botteghe di Tokyo”. Libro che, tra parentesi, puntavo da mesi se non anni e ho finalmente comprato in autunno. Questo perché Urbanowicz è uno degli artisti che adoro e seguo su Instagram da così tanto tempo che, e questo la dice molto lunga, ho addirittura imparato a scrivere il suo nome senza dover controllare che ciascuna lettera sia effettivamente nella posizione corretta. Nei suoi acquerelli trovo sempre un po’ di magia, con quei toni caldi e quello stile un po’ fumettistico come piace a me. Le scene molto spesso di quotidianità delle stradine giapponesi, tranquille, con le loro buffe macchinette automatiche ogni cinque metri e quel caos ordinato che solo loro hanno.

Immaginerete quindi la mia reazione quando per caso ho visto online le prime pubblicità dell’evento, riconoscendo al volo le mie amate facciate dei negozi di Tokyo. Un’Alice composta ed elegante: ho preso il link e l’ho girato a mezzo mondo chiedendo chi volesse venire con me. Molto probabilmente tutto “urlato” in stampatello maiuscolo. Composta, ed elegante.

Torniamo dunque alla metropolitana. La mia faccia da “ti conviene non avvicinarti senza un buon motivo” funziona alla grande. O forse avendo mezzo volto coperto dalla mascherina sono irriconoscibile. Fatto sta che controllo un attimo il cellulare e leggo “Ma sei in metro? Non so se sei tu e venirti incontro ahahah”. Mi giro e vedo un volto familiare avvicinarsi a me. “Ciao Noemi!”.

La mia compagna di avventure di oggi è Noemi. Lei è una di quelle amicizie magiche che cominciano online e poi riescono a trasferirsi nella vita reale, follia gentilmente offerta dai potenti mezzi tecnologici del ventunesimo secolo. Da quando ho iniziato a seguirla su Instagram è diventata il mio guru per la cucina asiatica a Milano. Poi ho scoperto il suo blog, con recensioni, consigli, ma anche storie e approfondimenti su altri aspetti del Giappone che non si vedono spesso trattare da chi parla di Giappone. Tra un messaggino su Instagram e un altro, l’ho finalmente conosciuta, dopo una lunga serie di incontri mancati per un millesimo di secondo, a una serata ramen che ha organizzato per festeggiare Natale tra appassionati di cucina asiatica (esatto, organizza anche eventi). Serata deliziosa in ogni senso, grande cibo, nuove amicizie… ma questa è un’altra storia.

Ritrovate e giunte finalmente alla fermata giusta, ci avviamo verso Tenoha. Ritiriamo i nostri biglietti in ingresso e ci presentiamo al gate. “Gate?” direte voi. Eh si, per andare a passeggiare in una stradina di Tokyo vera o finta che sia serve prendere l’aereo.

Ci controlla i biglietti una gentilissima signora in kimono ed entriamo nell’aereo, un corridoio uguale in tutto e per tutto, se non per la mancanza dei sedili, al corpo di un aereo. Finalmente, dopo un faticosissimo volo di qualche secondo, atterriamo in Giappone! Entriamo nell’aeroporto dove troviamo gli armadietti che a quanto pare per chi è stato in Giappone sono un tuffo nel passato, identici a quelli veri. Io però in Giappone ancora non ci sono stata per cui a me sembrano solo armadietti. Un giorno capirò, spero. C’è un’intera sala d’attesa con tanto di tabellone degli arrivi, qualche valigia su un carrello e un simpaticissimo disegno di un’agente che ci da il benvenuto in Giappone.

Varcata la soglia dell’aeroporto, inizia la vera e propria immersione. La prima cosa che sento è una musichetta che diventa sempre più forte man mano che mi addentro nello spazio espositivo. Non ci vuole molto perché ne identifichiamo la fonte: nascoste nelle “vie laterali” ci sono due cabine purikura, celebri per la loro possibilità di decorare le foto prima di stamparle. Ci fiondiamo dentro per scattare qualche fotina ricordo e tra le tre fotocamere in angolazioni diverse che scattano a turno casualmente, la vocina che dà indicazioni incomprensibili perché (giustamente) in giapponese, e la musichetta psichedelica, ne usciamo frastornate e carichissime di adrenalina. Decoriamo freneticamente le foto picchiettando sullo schermo con la stessa furia e lo stesso chiasso di una grandinata estiva.

Accanto a ciascuna facciata, vari oggetti “di scena” portano in vita i negozi: qualche pianta, delle biciclette, i sampuru, riproduzioni fedelissime di piatti pronti da tenere in vetrina, con ramen e altre deliziose pietanze. Oltre la facciata della libreria c’è addirittura una stanza intera, con scaffali, vetrine, libri e molto altro quasi esattamente come disegnato nel libro.

Verso il fondo della sala, due aree dedicate permettono di farsi delle fotine super instagrammabili mimetizzati al 100% nell’ambientazione: a disposizione del pubblico ci sono due divise scolastiche, una maschile e una femminile, da indossare per le foto. Ma no… non mi sarò spinta a tanto, no? SCHERZIAMO? CERTO CHE MI SONO SPINTA A TANTO e gasatissima sono riuscita a entrare nella camicetta alla marinara della divisa per ragazze (perché la taglia, ahimè, per quanto dicesse M non era la mia M). Bellissima. La tentazione di prendere il cappotto e correre verso casa con indosso la divisa mi ha attraversato il pensiero più di una volta. Piango una lacrimuccia. In un universo parallelo un’Alice che frequenta il liceo in Giappone piange una lacrimuccia per tutta la pizza italiana che non può mangiare perché non vive in Italia, ma a ognuno la sua croce. In tutto questo Noemi mi sta scattando foto a non finire, tra cui alcune molto molto carine che mi fanno piangere altre lacrimucce perché sono bellissime. Grazie Noemi.

Esco dall’esposizione innamorata del negozio di senbei (di cui, spoiler alert: meno di un mese dopo ho comprato la stampa) e dopo due passi in zona prendiamo un tram per spostarci verso Chinatown per mangiare. Come rendere ancora migliore una mattinata all’insegna del divertimento? Ve lo dico io, con un pranzetto in compagnia a base di ottimo cibo per cifre irrisorie. E chi meglio di Noemi per trascinarmi in un anonimo ristorantino cinese sull’angolo di una traversa di Paolo Sarpi?

Specialità: ravioli. Il mio cuore esplode. Ravioli in molteplici declinazioni tutti con l’opzione alla griglia o al vapore. Porzioni da 8 pezzi al prezzo a cui normalmente in altri posti te ne vendono la metà. E come se non bastasse, sono pure divinamente buoni. Un’altra lacrimuccia. Niente, dev’essere giornata. Dietro l’esperta e avventurosa guida di Noemi ordiniamo una serie di piatti a me sconosciuti: il ramen pechinese, che non ha brodo ma bensì un inaspettatamente saporito ragù di manzo; le crepe di Tianjing, buone, buonissime, ripiene di carne ma che profumano di cumino; o anche il calzone cinese con erba cipollina, dal nome che parla abbastanza da sè ma totalmente inaspettato perché nella mia ignoranza mai avrei pensato che potesse esistere una pietanza simile in un posto così lontano dalla patria del calzone. Unica nota negativa: un po’ troppo freschino per essere all’interno di un ristorante, ma per dei ravioli simili… si tiene il cappotto e giù a mangiare che scalda l’anima e il pancino!

Per una recensione un pelo più professionale della mia (ma non troppo eh) fatevi un giro sul blog di Noemi. Ma anche solo per curiosare. Su, dai! Cià cià.

Che dire, una giornata da ripetere assolutamente. Di quelle che ti guariscono l’anima. Chiacchiere tra amiche, buon cibo e tanto divertimento. È la ricetta del mio cuore.