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Diario di bordo – 26 dicembre 2015

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Sopravvissuta al pranzo di Natale, stamattina mi sono svegliata molto presto: verso le 10. Molto presto per lo standard “Studente in vacanza”. La colazione si è basata su avanzi del pranzo di ieri che erano una torta alle mele e del panettone, per fortuna non dell’arrosto che a colazione non è molto consigliato. Verso mezzogiorno tutti in macchina alla volta di un paesino sperduto nel lodigiano (anche se mi dicono essere piuttosto grande) dove abita parte della famiglia. Pranzone numero due pronto all’attacco, quest’anno però le zie si sono contenute: hanno cucinato solo dei tortelli, un arrosto, un cosciotto di vitello, e hanno affettato i soliti vassoi infiniti di insaccati. D’altronde quest’anno la tavolata era un po’ ridotta, bisogna ammetterlo. In famiglia sono arrivate da poco due nuove cuginette, e dato che hanno tenuto a casa i rispettivi genitori siamo andati noi a trovarli. I primi abitano a poche centinaia di metri da dove abbiamo pranzato, quindi nessun problema. I secondi invece abitano in un altro paesino sperduto (sperduto per me, ancora) nel quale oltretutto solo io, che me la cavo bene a orientarmi, e mia mamma, che ha invece un infallibile senso dell’orientamento, eravamo state anni fa. Quello su mia mamma era sarcasmo ovviamente, si perde la macchina anche nel parcheggio dell’esselunga (ricorda mamma che ti voglio sempre tanto bene). Comunque, nel lodigiano, si sa, se c’è nebbia, c’è TANTA nebbia. E non avevo valutato bene la questione, finché non ci siamo trovati in mezzo a delle cascine su una strada sterrata con dei conigli che correvano via al passare dell’auto. Avremmo dovuto svoltare a destra dopo un passaggio a livello ma, con il navigatore che ogni tre secondi ripeteva “Svoltare a destra”, abbiamo girato prima. In pochi istanti però Maps aveva già ricalcolato la strada percorrendo quella sulla quale eravamo, così abbiamo proseguito. Ad un certo punto la strada è diventata sterrata. E ad un certo punto la nebbia si è fatta più fitta che mai: eravamo nel bel mezzo dei campi. Mentre mio papà guidava lentamente guardando la strada, io e mia mamma guardavamo le indicazioni e la mappa del navigatore e gli dicevamo cosa fare. Mia sorella invece era già con la mente in un film horror. “Ma io non capisco come un pazzo omicida non abbia paura a stare così in mezzo ai campi, insomma fa paura” “La risposta è semplice: non ha paura perché è un pazzo omicida”. Così per allentare la tensione ci siamo messi ad analizzare le assurdità dei film horror. Pensateci: cosa mai spingerebbe un assassino ad aspettare ore, magari giorni, che le sue vittime passino per il vicolo lontano da tutto dove si è appostato? Effettivamente non ha molto senso, ma è molto scenico. Dopo aver girovagato un po’ siamo passati per una stradicciola senza protezioni parallela ad un fosso grosso quanto la carreggiata. “Ah si me la ricordo questa strada, ci siamo già passate” “Davvero mamma?” “Mmh…no.” Devo imparare a evitare certe domande, almeno sembrava che fosse tornato tutto a posto anche se eravamo nel bel mezzo del nulla. Ad un certo punto ho iniziato a temere che arrivati a bordo della retta via ci fosse una sbarra o non si potesse passare così che saremmo dovuti tornare indietro, rischiando per la seconda volta l’attacco degli assassini invisibili. Per fortuna dopo aver costeggiato la provinciale per circa trecento metri ci si poteva immettere in una rotonda per tornare sulla strada, e così abbiamo potuto ricominciare a respirare. La morale della storia è “Se siete nel lodigiano e c’è nebbia e non conoscete la strada, rimanete lì dove siete perché fa paura”. Detto questo invito tutti gli assassini a riflettere sulle loro strategie di attacco perché sebbene siano sceniche possono risultare piuttosto inefficaci. E ora vado a dormire per altre dodici ore abbondanti. Au revoir.