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Diario di bordo – 14 ottobre 2016

Vorrei raccontarvi la mia breve ma intensa avventura da candidata a rappresentante degli studenti nella mia scuola. Tutto comincia a una settimana e mezza dalle elezioni, quando ho ceduto alle pressioni di due mie compagne di classe che ormai da tempo mi proponevano l’idea di candidarmi. Sul campo c’era soltanto una lista: e una lista sola non è democrazia. Mi sono quindi associata ad un ragazzo, vaga conoscenza delle mie due amiche di cui prima, il quale ha tirato dentro due suoi amici per fare numero, dal momento che servono almeno quattro candidati per lista. In un frenetico intervallo abbiamo trovato venti persone che ci validassero la candidatura, poi ci siamo presentati in segreteria. “Qual’è il vostro nome, il vostro motto?”. Panico. Non so neanche come si chiamino gli altri candidati, come faccio a inventarmi un nome che ci identifichi? Pensa Alice, pensa. Ad un certo punto il nostro primo presentatore della lista, che a quanto pare a livello burocratico aveva una certa importanza e quindi anche lui era con noi in segreteria, è saltato fuori con IKEAlist: montiamo le vostre idee. Tra i sogghigni delle segretarie, che probabilmente ogni anno sentono i nomi più assurdi, abbiamo chiuso ogni scartoffia necessaria per candidarci. Era fatta.

Quello stesso pomeriggio abbiamo iniziato a pentirci del nome.

Il giorno prima delle elezioni, l’11 ottobre, ci siamo presentati al mondo nell’assemblea appositamente convocata. Proposte innovative o classiche, alcune ingegnose e altre meno. Avremmo potuto lavorare un po’di più sulla presentazione, ma era già tanto se avevamo preparato un discorso scritto per non mancare alcun punto. Il biennio ci adorava: proporre un ballo scolastico ci ha assicurato un sacco di voti. Al contrario, il triennio ha reagito all’idea con un coretto di “NOOO” disperati, già in cerca di una scusa per poterlo evitare.

Il giorno seguente, in occasione delle elezioni non solo dei rappresentanti degli studenti ma anche di quelli di classe, ho spolverato un mio vecchio regalo di Natale, un kit per creare spillette. All’intervallo giravo fieramente per i corridoi con la mia spilletta “Vota Alice IKEAlist” e con l’altro principale candidato che, con fare da amicone, salutava tutti e ricordava di votare per noi. Suonata la penultima campanella, era giunto il momento: le votazioni. Salta fuori che della mia misera classe di sedici, che credevo essere tutta con me, solo il cinquanta per cento ha votato a mio favore. Però, insomma, è pur sempre il cinquanta per cento. Se teniamo conto del fatto che abbiamo messo in piedi lista e idee in poco più di una settimana è comunque un buon risultato. Rimanevo fiduciosa sulla nostra situazione.

Fino a venerdì non si è saputo più niente, finché sul nostro mitico gruppo WhatsApp IKEAlist non è stata inviata una foto. Erano loro: risultati delle elezioni. Ci sarà stata un’inaspettata vittoria da parte dei nerd svedesi rimasti nelle menti dei loro compagni grazie ad un motto molto più che ambiguo e imbarazzante? Saremo riusciti a coronare il sogno di poter organizzare feste e assemblee per rendere la scuola un posto più piacevole? Dovevo solo scaricare l’immagine per avere la verità. Forse, ce l’avevamo fatta.

Ovviamente, abbiamo miseramente perso, schiacciati dai 1720 voti dell’altra lista (dal fantasioso nome Legamenti, almeno il nostro era un nome simpatico) contro i nostri deboli 485. L’unica nota positiva per me è stata che nella mia lista sono stata quella con più voti di tutti, 132. L’amicone ne ha avuti 126, mentre uno degli altri due ragazzi, che non voleva essere votato in quanto era lì per aiutarci e fare numero, ha preso un voto in meno rispetto a me. Infine, il candidato fantasma, iscritto alla lista ma che si era ritirato il giorno stesso, che per qualche motivo è arrivato anch’esso sulla scheda elettorale e ha ricevuto ben 28 voti. Purtroppo niente in confronto ai 500 voti del più gettonato dell’altra lista, ma è stata comunque un’esperienza divertente. Dubito ripeterò l’anno prossimo, dato che ho capito verso cosa propende la plebe. Se proprio ci terrò, mi unirò al nemico.

Conoscendo inconsciamente il risultato delle elezioni già il giorno stesso delle votazioni, quel pomeriggio ho disegnato me e i miei nuovi amichetti (con i quali sono così in confidenza che se mi vedono in corridoio forse mi salutano) in seguito alla sconfitta mentre ci consoliamo davanti alla TV mangiando cibo schifezza arrotolati dentro coperte come se fossimo dei tacos. Se qualcuno se lo stesse chiedendo: si, il salame è un chiaro riferimento a Jacovitti, anche se avendolo disegnato di fretta è venuto male. E niente, finisco sempre a parlare di cibo.

Aggiornamento: A quanto pare ancor prima che avessi il tempo di unirmi al nemico, questo mi ha inviato un messaggio su WhatsApp chiedendomi di unirsi a lui perché sembro una persona in gamba.